Il Decreto Balduzzi e le prime applicazioni giurisprudenziali
Creato da LucaCampanella il 30/03/2015 14:38:04

Facendo seguito alle considerazioni svolte nel precedente approfondimento del 10.06.2014, al quale si rinvia per qualunque necessità, questo spazio torna ad interessarsi del decreto Balduzzi, convertito con legge n. 189/2012, quale intervento normativo che, già al momento della sua entrata in vigore, ha suscitato scalpore e non poche perplessità di natura interpretativa, tanto da rendere necessario l’intervento nomofilattico della Suprema Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 8940/2014 ha cercato di chiarirne il tenore e l’ambito applicativo mediante la precisazione che, con la previsione: “resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.”, il Legislatore si è preoccupato unicamente di “escludere l’irrilevanza della colpa lieve anche in ambito di responsabilità extracontrattuale, dovendo comunque escludersi che con la terminologia utilizzata si sia inteso esprimere un opzione a favore di una qualificazione della responsabilità medica come responsabilità necessariamente extracontrattuale”, ripudiando l’idea che, alla norma suddetta, possa attribuirsi alcuna valenza volta a superare il tradizionale orientamento in merito alla responsabilità medica da “contatto sociale”.

Il presente intervento ha, pertanto, il precipuo scopo di evidenziare, a pochi anni dalla conversione del provvedimento normativo in parola, la spaccatura che si è venuta a creare in seno alla giurisprudenza di merito, fornendo alcuni esempi delle eterogenee statuizioni assunte sul territorio, nonostante l’intervento chiarificatore della Cassazione.


Quanto alle decisioni conformi al “dicta” fornito dalla Corte di Cassazione

il Tribunale di Monza, con provvedimento del 16.06.2014, si è recentemente espresso in conformità di quanto chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione, dando atto dell’esistenza di una corrente giurisprudenziale secondo la quale l’art. 3 del Decreto “Balduzzi” costituirebbe “una scelta consapevole del legislatore di qualificare in senso extracontrattuale la responsabilità del medico che imporrebbe l’abbandono della consolidata giurisprudenza che, a partire dagli anni '90, l’ha sempre qualificata come contrattuale eventualmente in forza del contatto sociale (in questo senso cfr. Tribunale di Varese 26.11.2012 e Tribunale di Torino 26.02.2013)”.

Nonostante tale presa d’atto, il Tribunale ritiene maggiormente corretto e fondato l’orientamento che, al contrario, considera detta previsione solamente “una svista del legislatore, un errore involontario nella formulazione della norma, inidoneo in quanto tale a modificare il quadro concettuale di riferimento e la natura sempre contrattuale della responsabilità del medico, con una soluzione che tende giustamente a prevalere (cfr. in tal senso Cass. Civ., 19.02.2013 n. 4030)”.

L’organo giudicante, partendo dal dato letterale dell’art. 3 della norma suddetta e raffrontandolo con l’originaria novella formulata in sede di lavori preparatori, ben differente da quella poi promulgata, giunge ad escludere, anche sul piano sostanziale, che la stessa possa fungere quale strumento normativo atto a qualificare come sicuramente extracontrattuale la responsabilità del medico che opera nella Struttura Sanitaria, visto che il Legislatore non ha provveduto a modificare l’art. 1173 c.c. e che l’obbligazione di cura, che viene in essere ogni volta che il paziente si affida a un medico operante in una struttura sanitaria, rientra tra le fonti di obbligazione legale, che soggiacciono alla disciplina dettata dall’art. 1218 c.c.

Con la sentenza in commento, il Tribunale di Monza ha recepito, dunque, la c.d. “contrattualizzazione della responsabilità medica”, con diretta incidenza soprattutto sul piano del riparto dell’onere probatorio, in conformità a quanto previsto dall’art. 1218 c.c., in forza del quale la colpa è presunta e l’onere della prova gravante sul debitore.

Quanto all’orientamento contrario, tra gli altri, del Tribunale di Milano

Di particolare interesse risulta osservare l’orientamento, al contrario, in netto contrasto con quanto sancito dalla Cassazione, tracciato dalla Prima Sezione Civile del Tribunale di Milano, la quale, con la pronuncia del 17 Luglio 2014, Estensore Dott. Gattari, ha precisato come: “Il tenore letterale dell’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi e l’intenzione del legislatore conducono a ritenere che la responsabilità del medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie) per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d’opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. e che, dunque, l’obbligazione risarcitoria del medico possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano (che il danneggiato ha l’onere di provare). In ogni caso l’alleggerimento della responsabilità (anche) civile del medico “ospedaliero”, che deriva dall’applicazione del criterio di imputazione della responsabilità risarcitoria indicato dalla legge Balduzzi (art. 2043 c.c.), non ha alcuna incidenza sulla distinta responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata (sia essa parte del S.S.N. o una impresa privata non convenzionata), che è comunque di tipo “contrattuale” ex art. 1218 c.c. (sia che si ritenga che l’obbligo di adempiere le prestazioni per la struttura sanitaria derivi dalla legge istitutiva del S.S.N. sia che si preferisca far derivare tale obbligo dalla conclusione del contratto atipico di “spedalità” o “assistenza sanitaria” con la sola accettazione del paziente presso la struttura). Se dunque il paziente/danneggiato agisce in giudizio nei confronti del solo medico con il quale è venuto in “contatto” presso una struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto con il convenuto, la responsabilità risarcitoria del medico va affermata soltanto in presenza degli elementi costitutivi dell’illecito ex art. 2043 c.c. che l’attore ha l’onere di provare; se nel caso suddetto oltre al medico è convenuta dall’attore anche la struttura sanitaria presso la quale l’autore materiale del fatto illecito ha operato, la disciplina delle responsabilità andrà distinta (quella ex art. 2043 c.c. per il medico e quella ex art. 1218 c.c. per la struttura), con conseguente diverso atteggiarsi dell’onere probatorio e diverso termine di prescrizione del diritto al risarcimento; senza trascurare tuttavia che, essendo unico il “fatto dannoso” (seppur distinti i criteri di imputazione della responsabilità), qualora le domande risultino fondate nei confronti di entrambi i convenuti, essi saranno tenuti in solido al risarcimento del danno a norma dell’art. 2055 c.c. “

Il Tribunale di Milano, dunque, è propenso ad operare una netta distinzione, affermando che: “L’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi non incide né sul regime di responsabilità civile della struttura sanitaria (pubblica o privata) né su quello del medico che ha concluso con il paziente un contratto d’opera professionale (anche se nell’ambito della cd attività libero professionale svolta dal medico dipendente pubblico): in tali casi sia la responsabilità della struttura sanitaria (contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria) sia la responsabilità del medico (contratto d’opera professionale) derivano da inadempimento e sono disciplinate dall’art. 1218 c.c., ed è indifferente che il creditore/danneggiato agisca per ottenere il risarcimento del danno nei confronti della sola struttura, del solo medico o di entrambi. Il richiamo nella norma suddetta all’obbligo di cui all’art. 2043 c.c. per l’esercente la professione sanitaria che non risponde penalmente (per essersi attenuto alle linee guida), ma la cui condotta evidenzia una colpa lieve, non ha nessun riflesso sulla responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, che ha concluso un contratto atipico con il paziente (o, se si preferisce, è comunque tenuta ex lege ad adempiere determinate prestazioni perché inserita nel S.S.N.) ed è chiamata a rispondere ex art. 1218 c.c. dell’inadempimento riferibile direttamente alla struttura anche quando derivi dall’operato dei suoi dipendenti e/o degli ausiliari di cui si è avvalsa (art. 1228 c.c.).”

Il citato orientamento è stato riconfermato dal medesimo Tribunale anche nella sentenza n. 10261/2014, dalla quale si evince come lo stesso ritenga che la disposizione contenuta nell’art. 3 del “Decreto Balduzzi” “interpretata alla luce del chiaro intento del legislatore di restringere e di limitare la responsabilità (anche) risarcitoria derivante dall’esercizio delle professioni sanitarie per contenere la spesa sanitaria ed in conformità del criterio previsto dall’art. 12 delle preleggi, che assegna all’interprete il compito di attribuire alla norma il senso che può avere in base al suo tenore letterale e all’intenzione del legislatore, sia da interpretare nel senso di ricondurre la responsabilità risarcitoria del medico (al pari di quella degli altri esercenti professioni sanitarie) nell’alveo della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. (con tutto ciò che ne consegue, principalmente in tema di riparto dell’onere della prova, di termine prescrizionale e del diritto al risarcimento del danno).”

Nella pronuncia in commento, poi, viene fatto espresso riferimento all’intervento chiarificatore della Suprema Corte di Cassazione con la decisione n. 8940/2014, prendendone, però, espressamente le distanze, ove si afferma che, se lo scopo del legislatore fosse stato proprio quello individuato dalla Cassazione, il richiamo all’obbligo risarcitorio di cui all’art. 2043 c.c. sarebbe del tutto fuori luogo ed immotivato.

A conclusione del ragionamento esegetico fatto dal Tribunale di Milano, l’orientamento dallo stesso espresso impone che, ove il soggetto danneggiato ritenga di citare in giudizio sia la Struttura Sanitaria che il medico, o altro operatore sanitario, la prima risponderà per inadempimento contrattuale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1218 c.c., ove l’inadempimento abbia ad oggetto un’obbligazione assunta direttamente dall’Ente Ospedaliero, ovvero ai sensi e per gli effetti dell’art. 1228 c.c., ove, al contrario, l’inadempimento lamentato dipenda da fatto e colpa dell’ausiliario di cui si è avvalso nell’opera prestata, mentre il sanitario, con cui il paziente non abbia stipulato un vero e proprio contratto d’opera professionale risponderà per responsabilità da fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c.

Il paziente, quindi, sarà onerato di un diverso onere probatorio a seconda che agisca nei confronti della Struttura sanitaria o del medico o di entrambi.

Nella prima ipotesi infatti, soggiacerà ai principi sanciti dall’art. 1218 c.c. in forza del quale la colpa è presunta, e, pertanto, risulterà sufficiente allegare l’inadempimento astrattamente idoneo ad aggravare la patologia preesistente o la causazione di nuove, spettando alla Struttura Sanitaria debitrice allegare i fatti estintivi o modificativi del diritto di credito.

Nella seconda ipotesi, al contrario, il soggetto leso sarà gravato di un ben più pregnante onere probatorio, dovendo fornire la dimostrazione dell’esistenza dei fatti costitutivi del fatto illecito, del nesso di causalità, del danno ingiusto e dell’imputabilità soggettiva dello stesso.