Il trust e la segregazione patrimoniale
Creato da LucaCampanella il 25/09/2014 18:33:52

In questo preciso momento storico, in cui la Giustizia risente dei continui cambi al vertice della Politica e il Parlamento non legifera con la dovuta lungimiranza, in modo da alleggerire la pressione fiscale su famiglie ed imprese, oltre al fatto che le continue riforme della giustizia civile sono ben lungi dal realizzare uno strumento processuale di tutela immediata dei diritti dei cittadini, occorre, nei rapporti commerciali, così come quelli individuali, usufruire delle figure contrattuali che, per la loro natura versatile, riescono a prevenire ogni tipo di problematica, anticipando così la tutela del patrimonio, come avviene, per esempio, nel caso del trust, del fondo patrimoniale, e degli altri mezzi di segregazione del patrimonio.


Che cos’è il Trust

Il Trust è un contratto atipico, mutuato dalla tradizione giuridica anglosassone e introdotto nel nostro ordinamento grazie alla legge n. 364/1989, con la quale è stata recepita la Convenzione dell’Aja del 1985.

Mediante questa figura negoziale, un soggetto, il c.d. disponente, o anche “settlor”, trasferisce, con atto tra vivi o mortis causa, la proprietà di beni o la titolarità di diritti ad un altro soggetto, il “trustee”, gravandolo però dell’onere di amministrarli secondo precise indicazioni, con la finalità  di beneficiare un terzo soggetto o di realizzare uno specifico scopo.

Dunque, in forza dello schema negoziale tipico del trust, sebbene il trustee, mediante l’atto di costituzione, diviene l’effettivo intestatario dei beni o il titolare dei diritti trasferitigli, questi risultano comunque vincolati allo scopo impresso dal disponente, con conseguente realizzazione di una vera e propria segregazione patrimoniale tra i beni di quest’ultimo e  quelli del trustee.

L’art. 2 della Convenzione suddetta, infatti, dopo aver definito il trust quale insieme di rapporti giuridici istituiti dal costituente, in forza del trasferimento di beni sottoposti al controllo di un trustee, nell’interesse di un terzo beneficiario o per uno specifico scopo, precisa che:

1)      I beni suddetti non entrano a far parte del patrimonio del trustee, costituendo una massa separata a sé stante;

2)      L’intestatario del trust è il trustee o un diverso  soggetto per conto dello stesso;

3)      Il trustee è investito del potere di gestire e amministrare i beni secondo i termini del trust e sulla base di quanto disposto dalla legge;

4)      La facoltà del costituente di riservarsi alcune prerogative sul trust e del trustee di possedere alcuni diritti in qualità di beneficiario non è incompatibile con il negozio del trust.

La maggiore peculiarità del trust è, quindi, quella di realizzare una vera e propria separazione patrimoniale dei beni trasferiti rispetto, sia a quelli appartenenti al costituente, che a quelli di proprietà dell’intestatario, e, ove il trust sia costituto a vantaggio di un terzo soggetto beneficiario, anche rispetto al patrimonio di quest’ultimo.

La Cassazione ha recentemente stabilito, in materia di trust, che, ove validamente costituito, detto contratto non ha l’effetto di dar vita ad un nuovo soggetto giuridico, bensì, unicamente di istituire un patrimonio destinato al fine prestabilito (v. Cass. 10105/2014).

Da quanto sintetizzato, è chiaro come la struttura del trust, potendo avere ad oggetto beni, ma anche un complesso di rapporti giuridici, quale per esempio crediti o anche un’azienda, permetta di realizzare i più disparati interessi, purché meritevoli di tutela per il nostro ordinamento.

Applicazione pratica del trust

Prima di analizzare le conseguenze pratiche della segregazione patrimoniale, appare di grande interesse segnalare come l’estrema duttilità della fattispecie contrattuale in commento, ha comportato, negli anni, un utilizzo sempre più frequente del trust, che, talune volte, ha permesso di superare addirittura le lacune legislative esistenti nel nostro ordinamento.

A  questo proposito, si richiama la statuizione del Tribunale di Trieste del 19.09.2007, con la quale è stato ritenuto valido ed efficace il trust costituito per garantire una tutela patrimoniale a una famiglia di fatto, non altrimenti attuabile dall’ordinamento italiano, non essendo applicabile, neppure in via analogica, l’istituto del fondo patrimoniale, e individuando nella tutela della prole il fine meritevole di tutela, che rende l’istituto legittimo e valido. 

Quanto al c.d. trust “liquidatorio”, ovvero quella figura negoziale finalizzata alla risoluzione delle crisi d’impresa, la Cassazione ha chiarito come la realizzazione di un regolamento di interessi, volto a segregare l’intero patrimonio dell’impresa a discapito della c.d. “par condicio creditorum”, debba considerarsi senz’altro nullo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1418 c.c., quando, in concreto, realizzi la sottrazione dei beni alla liquidazione degli Organi fallimentari, ponendosi così in contrasto con le norme imperative concorsuali, precisando, altresì, che, laddove la situazione di insolvenza del fallendo fosse preesistente all’atto di separazione patrimoniale, il trust sarà da considerarsi “tanquam non esset”, ovvero come mai posto in essere, con la conseguenza che l’atto di disposizione patrimoniale a favore del trustee dovrà inevitabilmente considerarsi nullo e privo di causa.

La Corte ha chiarito come, al contrario, il trust volto a scongiurare il fallimento di un’azienda, costituito nel rispetto dei diritti della classe dei creditori e del potere di controllo dell’Autorità giudiziaria, potendosi, quindi, qualificare quale strumento alternativo alle misure concordate per la risoluzione della crisi d’impresa, deve ritenersi legittimo ed efficace, in quanto in linea con lo spirito e lo scopo della novella in materia fallimentare (v. Cass. n. 10105/2014).  

Risvolti pratici del trust

L’art. 12 della Convenzione dell’Aja dispone che: “il trustee che desideri registrare i beni mobili e immobili, o i documenti attinenti, avrà facoltà di richiedere la iscrizione nella sua qualità di trustee o in qualsiasi altro modo che riveli l’esistenza del trust, a meno che ciò non sia vietato o incompatibile a norma della legislazione dello Stato nel quale la registrazione deve aver luogo”.

Tale disposizione, letta in combinato disposto dell’art. 2643 e segg. c.c., che regolano i principi di pubblicità nel nostro ordinamento, comporta l’onere per il “trustee”, in caso di trasferimento della proprietà di uno o più beni immobili a suo favore, di trascrivere l’atto di disposizione, rendendo così pubblica e conoscibile ai terzi l’avvenuta segregazione patrimoniale.

A questo proposito, si precisa come l’orientamento maggioritario delle Corti di merito ha affermato il principio in forza del quale sono nulli e privi di effetti sia il pignoramento eseguito nei confronti  del trust che la relativa trascrizione, poiché detto regolamento di interessi deve ritenersi privo di personalità giuridica, non essendo possibile, dunque, agire esecutivamente nei confronti di tale istituto, quale autonomo soggetto giuridico, pena l’insanabile nullità della procedura esecutiva, in quanto inidonea a raggiungere il proprio scopo (v. Tribunale di Reggio Emilia n. 307/2014).

Dalle precisazioni svolte, alla luce delle recenti pronunce giurisprudenziali in materia, si può concludere che i soggetti che pongono in essere un trust, danno vita a un vero e proprio patrimonio a sé stante, separato dalla massa patrimoniale del costituente, del trustee e del beneficiario, con la conseguenza che, a far data dalla avvenuta trascrizione dell’atto costitutivo, i creditori personali dei soggetti parti del contratto non potranno soddisfare le proprie ragioni sui beni oggetto di separazione patrimoniale, sino a quando il trust rimarrà valido ed operante o fintanto che non si esaurirà lo scopo di tutela previsto a favore del beneficiario, rendendo, di fatto, inoperante il principio di diritto di cui all’art. 2740 c.c.