Responsabilità medica e Decreto Balduzzi
Creato da LucaCampanella il 10/06/2014 18:01:23

Questo approfondimento ha lo scopo di fornire al lettore fondamentali e chiare linee guida di come rapportarsi con la Struttura Sanitaria dalla quale ritiene di aver subito un danno.

I recenti sviluppi, sia normativi che giurisprudenziali hanno, infatti, reso necessari alcuni chiarimenti in merito alla natura del rapporto esistente tra paziente e medico, inteso quest'ultimo sia quale singolo professionista che soggetto inserito all'interno di una Struttura Sanitaria pubblica, ovvero di una Casa di Cura privata.

Gli orientamenti consolidatisi in materia, hanno consentito ai Legali di poter titelare in maniera più completa ed esaustiva i diritti risarcitori dei clienti che hanno subito danni a causa di un non appropriato adempimento delle obbligazioni assunte dai medici nei confronti dei pazienti, a seguito dell'intervenuto "contatto sociale" originato dalla semplice accettazione di questi ultimi al loro ingresso nella Struttura Sanitaria.

Per tali ragioni, si instaura tra le parti un automatico contratto atipico definito di "spedalità".


Rapporto esistente tra paziente e struttura sanitaria

La natura del rapporto che si instaura tra paziente e Struttura Sanitaria ha costituito oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali, talune volte tra loro contrastanti, sino a quanto la Giurisprudenza è approdata ad un orientamento costante, secondo il quale la relazione che si crea tra Struttura Sanitaria e assistito ha natura contrattuale, e trova la sua origine nel così detto “contratto di spedalità”.

In cosa consistente il “contratto di spedalità”

Quando il paziente viene accolto dalla struttura deputata a fornire assistenza sanitario-ospedaliera, ai fini del ricovero o anche per una visita ambulatoriale, si instaura automaticamente un vero e proprio contratto atipico, denominato di “spedalità”, equiparato dalla Giurisprudenza, quanto ai suoi effetti, alla relazione che sorge tra Casa di Cura privata e Cliente, ove sussiste un vero e proprio contratto sottoscritto dalle parti.

In forza del “contratto di spedalità”, con l’accettazione, in capo alla Struttura sorge un’obbligazione complessa, che non si esaurisce nella sola somministrazione delle cure mediche e chirurgiche, ma si estende a tutta una serie di altre prestazione, di diversa natura e genere, come, per esempio, la messa a disposizione di personale medico e paramedico, di medicinali e attrezzature, oltre, evidentemente, agli obblighi di tipo alberghiero, quando la prestazione medica richieda il ricovero e, dunque, l’allocazione del paziente presso la struttura medesima.

Recentemente, la Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che sulla Struttura Sanitaria gravano anche obblighi di sorveglianza nei confronti dei pazienti, riferendosi alla particolare fattispecie di un assistito in attesa di accertamenti sul suo stato di salute psichica che, lasciato da solo dal personale medico e paramedico, si procurava lesioni gravissime e permanenti.

E’ interessante osservare come la Corte, in questa particolare fattispecie, abbia ritenuto che la Struttura non venga sollevata dalla propria responsabilità, derivante da omessa sorveglianza, neanche in caso di apparente tranquillità del paziente, e neanche se lasciato in compagnia di un parente, non rilevando nemmeno la circostanza che non fosse un degente (nella specie si trattava di persona accolta in pronto soccorso e non soggetto TSO (Cass. n. 10832/2014).

Il chiarimento operato dalla giurisprudenza in merito alla natura del rapporto che si crea nell’ipotesi suddetta, non è di poco conto, sortendo implicazioni rilevanti e conseguenze pratiche nei processi civili, che, sempre più spesso, vengono instaurati da chi, invece di avvantaggiarsi delle cure mediche somministrate, ha subito danni, talune volte gravi e dagli esiti invalidanti permanenti ed irreversibili.

Ed, infatti, l’esistenza in capo alla Struttura Sanitaria di un’obbligazione complessa, nascente da un rapporto in tutto assimilato a quello contrattuale, comporta che quest’ultima sarà chiamata a rispondere ex art. 1218 c.c., non solo per i danni in stretta connessione causale con le obbligazioni c.d. di accoglienza di tipo alberghiero, per la qualità dei medicinali somministrati, per le condizioni igienico sanitarie presenti al suo interno etc., o le così dette linee guida ivi seguite, in forza di una sua responsabilità diretta, ma anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 1228 c.c., per i danni conseguenti all’imperizia e alla negligenza del proprio personale medico e para medico. (Tribunale di Milano 25.10.2013; Cass. n. 10832/2014)

Aspetti pratici della responsabilità contrattuale

Come pocanzi anticipato, la qualificazione giuridica impressa dalle corti di merito e di legittimità relativa alla natura contrattuale del rapporto di spedalità, ha comportato importanti effetti pratici sul piano del diritto sostanziale in ambito processuale.

A questo proposito, si evidenzia come ormai la Giurisprudenza sia unanime nell’affermare che, il diritto ad ottenere il risarcimento del danno derivante da una responsabilità della Struttura Sanitaria, in via diretta o mediata, non soggiace al termine prescrizionale quinquennale ex art. 2947 c.c., bensì a quello ordinario decennale di cui all’art. 2946 c.c.

Altrettanto pacifico risulta il principio in forza del quale detto termine inizi a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, ovverosia nell’istante in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, quando il danno, cioè, diviene oggettivamente percepibile e riconoscibile (Trib. Bologna 23.09.2013).

Sul piano della ripartizione dell’onere probatorio di cui all’art. 2697c.c., la natura contrattuale del rapporto esistente con la Struttura, implica che chiunque lamenti di aver patito una lesione alla salute dopo essersi sottoposto alla prestazione sanitaria, dovrà dare la dimostrazione del contatto sociale, dell’insorgenza o dell’aggravamento della patologia, con l’allegazione di precise inadempienze, astrattamente idonee ad essere causa o concausa della patologia o della persistenza della stessa, rimanendo a carico dell’Ospedale la prova che nessun rimprovero di negligenza o di imperizia può essergli mosso, o che, ove si riscontri un effettivo inadempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale nell’insorgenza del danno (Cass. n. 27855/2013).

La Cassazione con la pronuncia n. 10832/2014, dopo aver ribadito la corretta ripartizione dell’onere probatorio, in forza della quale, al paziente spetta dimostrare l’inserimento nella struttura e l’insorgenza della patologia nel periodo di inserimento, mentre alla Struttura spetta l’onere di provare di aver adempiuto la propria prestazione, ha chiarito che l’adempimento richiesto a quest’ultima non solo consiste nella necessità di differenziare la terapia a secondo della patologia sofferta dai singoli pazienti, ma anche, in taluni casi, nella necessità di differenziare l’atteggiamento di protezione, e ciò anche in sede di pronto soccorso, con la conseguenza che prestazioni che solitamente hanno natura accessoria, possono, in presenza di alcune malattie, assumere particolare rilevanza ai fini della responsabilità sanitaria, con conseguente insorgere per la stessa dell’obbligo di risarcire il danno cagionato.

La pronuncia richiamata è l’ultima di una lunga serie di statuizioni che mostrano la particolare attenzione posta dalle Corti in merito all’evoluzione della responsabilità della Struttura sanitaria e dei medici che vi operano.

Quanto alla responsabilità del medico operante nella struttura sanitaria

Chiarita la natura contrattuale del rapporto esistente tra paziente e Struttura Sanitaria, con conseguente applicabilità della disciplina della responsabilità ex art. 1218 c.c. in capo della struttura ospedaliera, risulta necessario individuare il titolo in forza del quale risponde il medico che opera nell’ambito della stessa e che, materialmente, ha cagionato il danno al paziente.

Orbene, la Cassazione a S.U. con la pronuncia n. 577 dell’11.01.2008, ha provveduto a fugare ogni dubbio in merito, ribadendo, da un lato, come la responsabilità della Struttura sanitaria abbia natura contrattuale, in forza del “contatto” che si instaura con il paziente mediante l’accettazione dello stesso ai fini del ricovero o della visita ambulatoriale, precisando, dall’altro, come, a sua volta, anche la responsabilità del medico, ancorché non fondata su vero e proprio contratto, ma sul ridetto contatto sociale, abbia natura contrattuale, trovando applicazione la disciplina di cui all’art. 1218 c.c.

Tale precisazione non è di poco conto, poiché, ai fini risarcitori, sarà sufficiente per il paziente provare il “contatto”, unitamente al relativo inadempimento o inesatto adempimento di cui è stato vittima, non essendo tenuto a dimostrare anche la colpa del sanitario e/o dell’ospedale (v. S.U. N. 12274/2011), mentre il medico dovrà, da parte sua, dare la dimostrazione che l’inadempimento è dipeso da fatto a lui non imputabile, dando la prova del fatto impeditivo, in mancanza del quale verrà condannato in forza del combinato disposto di cui agli artt. 1218 e 2697 2° co. c.c.

Sono evidenti le ragioni di opportunità che hanno motivato la Suprema Corte di Legittimità a gravare dell’onere probatorio la parte che evidentemente ha le maggiori cognizioni tecniche, che solitamente esulano la sfera di normale conoscenza dell’uomo medio.

La peculiarità e delicatezza della materia, ha indotto il Legislatore, in forza degli artt. 1176 e 2236 c.c., e la Giurisprudenza chiamata ad applicare i suddetti principi, ad imporre un duplice grado di diligenza professionale al medico, prevedendo la diligenza a carattere generico, laddove l’intervento non comporti particolari difficoltà tecniche, e richiedendo all’operatore sanitario, al contrario, un grado di perizia qualificata, ove la prestazione richiesta abbia carattere specialistico.

Quanto alla responsabilità del medico dopo l’entrata in vigore della c.d. “D.L. Balduzzi”

Con l’entrata in vigore del c.d. Decreto Legge Balduzzi, convertito con la Legge  n. 189 del 2012, il Legislatore ha stabilito che il Sanitario, in caso di “colpa lieve”, non risponde penalmente, puntualizzando come, in detta ipotesi, anche se il medico dovesse venire assolto in sede penale, ciò non lo esimerà dal rispondere in sede civile, restando fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.

L’inciso utilizzato da legislatore, se, da un lato, ha chiarito come il “Decreto Balduzzi” non abbia intaccato minimamente il regime di responsabilità del medico ai fini risarcitori in campo civile, ha creato certamente un po’ di confusione richiamando l’art. 2043 c.c., norma che prevede l’obbligo risarcitorio per chiunque cagioni un danno ingiusto ad altri, regolando la c.d. responsabilità extra contrattuale, rispondendo a regole diverse, sia per quanto concerne la prescrizione (ovvero il termine entro il quale chiedere il risarcimento), sia sotto l’aspetto dell’onere probatorio.

Ad una prima lettura, sembrerebbe, dunque, che la terminologia utilizzata dal legislatore abbia rimesso in discussione l’orientamento sintetizzato in precedenza sulla natura contrattuale della responsabilità del medico.

Chiariamo subito che così non è.

Allo scopo, si richiamano le tante pronunce della Corte di Legittimità che hanno chiarito come, con l’inciso  riportato nel “Decreto Balduzzi” e nella successiva norma di conversione, che recita: “resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.”il Legislatore si sia preoccupato unicamente di escludere l’irrilevanza della colpa lieve anche in ambito di responsabilità extracontrattuale, dovendo comunque escludersi che con la terminologia utilizzata si sia inteso esprimere un opzione a favore di una qualificazione della responsabilità medica come responsabilità necessariamente extracontrattuale”. (Cass. n. 8940/2014)

Nella recentissima pronuncia in commento, infatti, la Corte Suprema ha ribadito che, alla norma suddetta, non può e non deve attribuirsi alcuna valenza volta a superare il tradizionale orientamento in merito alla responsabilità medica da “contatto sociale” (v. Cass. n. 4792/2013).