Effetti pubblici della trascrizione degli atti privati nella circolazione dei beni immobili
Creato da LucaCampanella il 11/04/2014 12:49:51

Quest’articolo ha la finalità di iniziare un percorso che sia in grado di fornire nozioni basilari per la tutela del patrimonio e dare indicazioni pratiche per orientarsi nei tecnicismi delle formalità richieste dalla Legge per la circolazione dei beni, soprattutto di quelli immobili o mobili iscritti in Pubblici Registri.

La presente trattazione non intende avere effetti esaustivi dell’intera materia, ma unicamente sottolineare come la corretta conoscenza degli Istituti che regolano le transazioni immobiliari e la normativa a tutela delle parti, possano prevenire eventuali contenziosi giudiziari che incidono sulla validità ed efficacia degli atti dispositivi, ovvero, in caso di coinvolgimento in simili contenziosi, fornire le possibili soluzioni a salvaguardia del patrimonio, soprattutto se vincolato al soddisfacimento dei bisogni della famiglia.


Il contratto preliminare

Il contratto preliminare consiste nella manifestazione di volontà dei contraenti di impegnarsi a  concludere un determinato contratto definitivo.

L’art. 1351 c.c. sancisce che tale negozio, per essere valido ed efficace, deve essere redatto con la medesima forma che la legge prescrive per il contratto definitivo; ad esempio, il preliminare di vendita di beni immobili deve assumere, pena la sua nullità, la forma scritta, così come previsto dall’art. 1350 c.c. per la compravendita.

Quanto all’oggetto del contratto preliminare

L’oggetto del preliminare è costituito dal regolamento negoziale, completo dei suoi elementi essenziali, il quale costituirà, salvo integrazioni e deroghe, il contratto definitivo vero e proprio, senza necessità di ulteriori trattative e discussioni. La fattispecie negoziale in commento, infatti, costituisce l’impegno manifestato dai partecipanti a stipulare un contratto successivo che è già definito nella sua sostanza.

In caso contrario, non si potrà, infatti, parlare di contratto preliminare, ma delle c.d. minute o puntuazioni, con la differenza che, nel primo caso, la mancata stipulazione costituisce un vero e proprio inadempimento contrattuale, con conseguente responsabilità di cui all’art. 1218 c.c., mente, nel secondo caso, non sussistendo un vero e proprio contratto, qualora le trattative, arrivate a buon punto, non giungano ad una conclusione, la parte che immotivatamente ha interrotto le negoziazioni, potrà rispondere unicamente per responsabilità precontrattuale.

La differenza è sostanziale, poiché, solo nel caso di inadempimento del preliminare, il contraente che ha interesse alla stipulazione del contratto definitivo potrà agire giudizialmente per ottenere una sentenza ex art. 2932 c.c., costitutiva degli effetti che si sarebbero prodotti con l’adempimento spontaneo del preliminare.

Nella seconda ipotesi, invece, il contraente che ritiene di aver subito un danno dal fallimento delle trattative potrà adire le vie giudiziarie esclusivamente per ottenere il risarcimento delle conseguenze dannose, sempre che riesca a dimostrare che la negoziazione erano ad uno stadio avanzato, tale da ingenerare il proprio ragionevole affidamento sulla conclusione dell’affare, e che l’interruzione sia avvenuta senza un giustificato motivo, sempre che, nel caso concreto, non sussistano, secondo l’ordinaria diligenza, fatti idonei ad escludere tale affidamento.

La sussistenza contemporanea di tutti e tre questi presupposti, accertati dal Giudice, porteranno quest’ultimo ad una pronuncia di condanna per responsabilità precontrattuale del soggetto che ha interrotto immotivatamente le trattative  (v. Cass. n. 4768/2014).

Quanto agli effetti del contratto preliminare 

Il contratto preliminare, per sua natura, non può che produrre esclusivamente effetti obbligatori e non reali o traslativi.

Tale considerazione ha implicazioni pratiche rilevanti, come, per esempio, la nullità del c.d. “contratto preliminare del preliminare”, fattispecie chiarita dalla Corte di Legittimità a partire dalla pronuncia n. 8038/2009, con la quale è stata dichiarata la carenza di un interesse meritevole di tutela in un siffatto negozio giuridico.

Nella pratica, la Corte di Cassazione, così come quelle di merito, hanno ribadito che l’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c. -principio fondamentale del nostro ordinamento civilistico che attribuisce il potere delle parti di predisporre un regolamento contrattuale atipico rispetto a quelli espressamente previsti dalla legge-, trova quale limite invalicabile la necessità che, a fondamento del regolamento suddetto, vi sia sempre un interesse che l’ordinamento possa valutare come meritevole di tutela.

Nel caso del “preliminare del preliminare”, dottrina e giurisprudenza maggioritarie, ritengono che la finalità del negozio non trova una valida giustificazione nel nostro ordinamento, considerato che le parti, stipulando un preliminare, già si vincolano ad un futuro impegno contrattuale.

Ulteriore conseguenza della natura obbligatoria del preliminare è che detta forma contrattuale non è assoggettabile all’azione revocatoria ordinaria di cui all’art. 2901 c.c., in quanto non idoneo alla produzione di effetti traslativi, e, quindi, non qualificabile come atto di disposizione del patrimonio, presupposto necessario perché possa essere applicata la previsione del summenzionato articolo (Cass.  n. 9970/2008).

Per completezza, appare necessario precisare che, sebbene l’unico contratto revocabile sia quello definitivo, producendo effetti traslativi idonei a ledere l’interesse dei creditori, il suo preliminare, comunque, rileverà nell’ambito di un’azione revocatoria, poiché l’esistenza del c.d. “consilium fraudis” dovrà essere valutata con riferimento al momento in cui si consuma la libera determinazione del terzo di obbligarsi a concludere il futuro contratto definitivo.

All’atto pratico, quindi, il Giudice chiamato a decidere sulla revocabilità dell’atto definitivo, dovrà valutare se il terzo contraente, al momento della stipulazione del preliminare, era o meno a conoscenza degli effetti lesivi che il futuro atto dispositivo avrebbe comportato per la garanzia del credito.

In mancanza della prova certa fornita dal creditore in merito all’esistenza di tale consapevolezza, la parte promissaria acquirente dovrà essere considerata in buona fede, requisito che l’ordinamento tutela anche a discapito di quanto sancito dall’art. 2740 c.c., in forza del quale il debitore (promittente venditore), deve risponde dei debiti con tutto il proprio patrimonio.

Quanto alla trascrizione del contratto preliminare

Cos’è la trascrizione

La trascrizione, in genere, costituisce un mezzo di pubblicità della situazione giuridica dei beni immobili e di quelli mobili registrati.

Nella pratica, tale mezzo di pubblicità funge da strumento per dirimere le questioni che possono sorgere in merito alla titolarità di diritti reali su un determinato bene, a causa del principio consensualistico vigente nel nostro ordinamento giuridico.

Se, infatti, da un punto di vista giuridico, per il trasferimento dei beni immobili il consenso espresso in forma scritta è sufficiente alla produzione dell’effetto traslativo, da un punto di vista pratico, detto risultato potrà essere opposto ai terzi solo a seguito della trascrizione dell’atto presso il competente Ufficio del Territorio, individuato in base al luogo ove è ubicato il bene oggetto dell’affare.

Effetti della trascrizione del contratto preliminare

Il Legislatore, con l’introduzione dell’art. 2645 bis c.c., ha voluto ampliare la tutela apprestata alla circolazione dei beni immobili mediante la facoltà di trascrivere anche i contratti preliminari che abbiano ad oggetto la costituzione, modificazione ed estinzione di diritti reali (diritto di proprietà, uso, usufrutto etc..).

E’ evidente che, anche in questo caso, la tutela derivante dalla pubblicità dell’atto si consoliderà solo con la trascrizione del contratto definitivo, il solo idoneo a dispiegare effetti traslativi, ma verrà anticipata al momento della trascrizione del preliminare, grazie agli effetti “prenotativi” che la norma le attribuisce.

Il terzo comma dell’articolo in commento, infatti, dispone che, ove la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto analogo (ndr sentenza costitutiva di cui all’art. 2932 c.c. o domanda giudiziale di cui all’art. 2652 c.c.), avvenga entro un anno dal termine indicato nel contratto preliminare o, in ogni caso, entro tre anni dalla trascrizione dello stesso, gli atti aventi ad oggetto il medesimo bene, trascritti nel termine intermedio, non saranno opponibili alle parti contraenti.

Il Legislatore, dunque, limitando l’effetto “prenotativo” della trascrizione del preliminare al solo triennio antecedente la trascrizione dell’atto definitivo, ha cercato, da un lato, di garantire la sicura circolazione dei beni, e, d’altro, di non paralizzare il mercato immobiliare.

Fondo patrimoniale e trascrizione

Cos’è il fondo patrimoniale

Il fondo patrimoniale di cui all’art. 167 c.c. rappresenta un vincolo di destinazione che i coniugi, congiuntamente o separatamente mediante atto pubblico, ovvero un terzo, anche “mortis causa”, attribuiscono a uno o più beni, siano essi immobili, mobili registrati o titoli di credito.

Il fondo viene amministrato dai coniugi secondo le regole che presiedono l’amministrazione della comunione legale, con la conseguenza che, gli atti di ordinaria amministrazione, possono essere eseguiti anche separatamente tra loro, mentre, quelli di straordinaria amministrazione, devono obbligatoriamente essere assunti in via congiunta e, in caso di diniego o di mancato accordo, ciascuno dei coniugi potrà adire il Giudice competente.

Il vincolo di destinazione, dunque, viene meno con l’annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, salvo l’ipotesi della presenza di figli minori, nel qual caso il fondo si protrarrà sino al raggiungimento della maggiore età degli stessi.

Dottrina e giurisprudenza ricomprendono il fondo tra le convenzione patrimoniali della famiglia, i cui effetti si producono, quindi, non già dalla sua trascrizione, comunque obbligatoria, ma dal momento in cui viene annotato nel registro di stato civile, formalità questa che rende il fondo opponibile ai terzi (Cass. S.U. n. 21658/2009).

Ciò implica per il creditore che abbia rilevato che il proprio debitore è coniugato, l’onere di assicurarsi se sul patrimonio di quest’ultimo sia stato costituito un fondo patrimoniale se lo stesso sia già stato annotato nel registro di stato civile, circostanza che renderebbe inefficace l’eventuale iscrizione ipotecaria eseguita successivamente all’annotamento e nulla l’azione esecutiva promossa sui beni vincolati.

Cosa si intende per vincolo di destinazione e natura del fondo patrimoniale

I beni fatti ricadere all’interno del fondo patrimoniale, dunque, potranno essere utilizzati esclusivamente per far fronte ai “bisogni” della famiglia.

I creditori personali di ciascun coniuge o del terzo che ha istituito il fondo patrimoniale non potranno aggredire i beni vincolati dallo stesso, a meno che il credito non trovi la propria origine in un rapporto debitorio instaurato per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, in forza di quanto disposto dall’art. 170 c.c.

Dottrina e Giurisprudenza sono concordi nell’affermare che detto Istituto rientra tra gli atti di disposizione a titolo gratuito.

Questa considerazione produce conseguenze pratiche rilevanti, in quanto rende meno gravoso per i creditori dei coniugi dimostrare l’esistenza dei presupposti necessari per l’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.

Cos’è l’azione revocatoria ordinaria

Ai nostri fini, sarà sufficiente sapere che con detta azione chiunque sia titolare di un credito,  anche se sfornito dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità (si pensi a un credito soggetto a condizione per esempio) può ottenere che un determinato atto di disposizione lesivo delle proprie ragioni sia reso a lui inefficacie.

Dunque, in primo luogo è necessario un valido rapporto di credito tra il soggetto che agisce in revocatoria e il debitore disponente.

Ai fini dell’esperibilità  dell’azione revocatoria ordinaria di cui all’art. 2901 c.c., la legge richiede, sul piano oggettivo, che l’atto dispositivo sia idoneo ad arrecare un pregiudizio alle ragioni del revocante, essendo sufficiente che tale disposizione abbia reso meno agevole la soddisfazione del credito di quest’ultimo.

La Corte di Legittimità si è già profusamente espressa, confermando la revocabilità del fondo patrimoniale, poiché atto restrittivo della garanzia patrimoniale generale di cui all’art. 2740 c.c., considerate le limitazione poste all’azione esecutiva dall’art. 170 c.c.

A ciò si aggiunga che l’equiparazione del fondo ad un atto di liberalità, così come operata dalla giurisprudenza, implica che, sul piano soggettivo, sarà sufficiente, ai fini della revocabilità dell’atto, la prova della consapevolezza da parte del solo debitore che detta operazione avrebbe reso più gravosa la soddisfazione delle ragioni del creditore.

In presenza di tali elementi, il creditore, dandone idoneo riscontro probatorio,  potrà agire per ottenere l’inefficacia nei propri confronti del fondo patrimoniale annotato e, conseguentemente, aggredire i beni vincolati dallo stesso.

Dall’altro canto, il debitore potrà, in sede di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., eccepire le limitazioni di cui all’art. 170 c.c., dando la dimostrazione che il debito è stato contratto per scopi estranei alle necessità della famiglia e che il creditore ne era a conoscenza.