Errata segnalazione alla centrale dei rischi e tutela d’urgenza
Creato da LucaCampanella il 18/02/2014 15:20:00

Argomento di grande attualità, già altre volte trattato dallo scrivente Studio, è rappresentato dall’abuso del diritto perpetrato dagli Istituti di credito mediante l’errata segnalazione del correntista alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia, fonte dell’obbligazione risarcitoria dei danni cagionati ai soggetti segnalati, ai quali viene ingiustamente precluso l’accesso al credito, linfa vitale soprattutto per le aziende, con intuibili e disastrose conseguenze per l’imprenditoria e lo sviluppo, e, in questo particolare periodo, per la ripresa economica.

Come già sviscerato, l’abuso in parola lede non solo la libertà d’impresa, tutelata dalla nostra Costituzione all’art. 41, ma anche il diritto alla reputazione del correntista, mediante un distorto trattamento dei dati sensibili, tutelabili anche in via d’urgenza mediante la richiesta di un provvedimento sommario ed anticipatorio ex art. 700 c.p.c.


Responsabilità diretta e corresponsabilità della Banca d'Italia

Va, innanzitutto, chiarito che la Banca d’Italia, in caso di errata segnalazione di un Soggetto quale “cattivo pagatore”, non è passibile di alcuna richiesta risarcitoria, poiché essa funge unicamente da contenitore di informazioni e non opera alcun controllo sulla veridicità delle medesime.

Sarà corresponsabile, al contrario, se, in caso di provvedimento giudiziario che impone all’Istituto segnalante di adoperarsi per la cancellazione, edotta della pronuncia, non provveda alla correzione disposta dall’Autorità Giudiziaria, divenendo così solidalmente responsabile con l’Istituto segnalante nel risarcimento dei danni prodottisi a causa del protrarsi della non corretta segnalazione.

La portata del problema è tale che la Giurisprudenza di legittimità, in questi anni, ha dovuto prendere coscienza che, spesso, per gli imprenditori erroneamente segnalati, attendere le tempistiche della Giustizia ordinaria per ottenere l’agognata pronuncia, che di fatto accerta l’abuso ed ordina la cancellazione della segnalazione medesima, equivale a non ottenere alcuna tutela; il provvedimento in parola, concretamente “inutiliter data”, viene emesso in via ordinaria ormai quando la preclusione al credito bancario ha comportato tante e tali difficoltà che l’impresa o è già fallita o in procinto di essere sottoposta a procedure concorsuali.

La soluzione che sempre più spesso viene adottata per sopperire a tali anomalie di sistema è quella di  non promuovere un’azione di accertamento, ma di intervenire, preventivamente, o in corso di causa, mediante la tutela d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c.

Cosa si intende per tutela d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c.

L’Ordinamento riconosce “a chi abbia fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il proprio diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, di adire l’organo Giudiziario per ottenere i provvedimenti d’urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare gli effetti della decisione sul merito”.

La tutela d’urgenza ha, quindi, carattere speciale e residuale, in quanto viene accordata solo in presenza di alcuni specifici requisiti, non alternativi tra loro, indicati nel “fumus boni iuris” e nel “periculum in mora”, e solo allorquando non sia possibile ottenere il medesimo rimedio mediante altro strumento processuale.

Cosa si intende per fumus boni iurisi e periculum in mora

Quanto al primo requisito, sussiste il c.d. fumus, quando il diritto fatto valere appare, ad una primo sommario esame, fondato, mentre sussiste il periculum in mora in presenza di un pregiudizio imminente e irreparabile.

Senza voler tediare il lettore sulle disquisizioni teoriche in merito al significato di volta in volta attribuito a tali terminologie, e guardando al caso concreto qui trattato, possiamo affermare che l’esistenza del pericolo per il soggetto erroneamente segnalato è di immediata evidenza, tanto che, sempre più spesso, la Giurisprudenza tende ad affermare che il danno è in re ipsa, esonerando, così, il correntista dall’onere di fornirne la prova.

La giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, infatti ritiene, a ragion veduta, che l’errata segnalazione alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia di un soggetto a sofferenza, sia esso una persona fisica che giuridica, costituisce una illegittima violazione del diritto alla reputazione sociale di detto soggetto, costituendo, per ciò stesso, fonte di un obbligazione risarcitoria a carico dell’Istituto segnalante, da liquidarsi anche in via equitativa ex art. 1226 c.c. (v. così Trib. Bari Sez. II del 7.02.2011, Trib. Brindisi 2.03.2011 e Cass. n. 12626/2010). 

Il pregiudizio, perché venga accordata la tutela d’urgenza, deve essere, inoltre, imminente, ma nel caso dell’errata segnalazione, detto connotato risiede nel fatto che da essa deriverà, soprattutto per l’imprenditore, l’automatica impossibilità di ottenere credito dalle altre banche, con la conseguente estrema difficoltà di proseguire la propria attività, ciò comportando la paralisi dell’attività produttiva dopo pochissimi mesi. Identiche conseguenze derivano anche alla persona fisica, non imprenditore, in caso di necessità di ricorrere al credito bancario per le più svariate ragioni, quali mutui o finanziamenti per l’acquisto rateale di beni di consumo.

Anche il connotato dell’irreparabilità del danno è, purtroppo, conseguenza diretta della segnalazione, poiché la reputazione dell’imprenditore, quale soggetto affidabile per il circuito bancario viene compromessa quasi irrimediabilmente, trovandosi quest’ultimo nell’impossibilità di assolvere gli impegni assunti, con conseguente perdita di fatturato e di clientela, che difficilmente potrà recuperare.

A titolo esemplificativo, si riporta quanto statuito dal Tribunale di Nuoro nella pronuncia del gennaio del 2011, laddove è stato precisato che l’irreparabilità del danno sussiste quando la lesione del diritto lamentato comporta “un’aggressione al patrimonio della società tale da far temere la decozione della stessa o la riduzione della sua effettiva competitività sul mercato”, circostanza, quest’ultima, che purtroppo è la normale conseguenza per la piccola-media impresa.

Quanto, invece, al fumus boni iuris, nel caso della segnalazione alla Centrale dei Rischi, esso sussiste quando l’Istituto di credito vi ha proceduto in assenza dei presupposti che legittimino la segnalazione medesima.

Tralasciando il caso limite, nel quale la Banca segnala un soggetto senza che nei suoi confronti sussista effettivamente alcun credito, trattandosi in quel caso di “illecita segnalazione”, l’erroneità sussiste invece quando la segnalazione è stata elevata qualora il soggetto risulti effettivamente debitore, ma per importi o titoli differenti da quelli segnalati.

E’ questa l’ipotesi in cui l’esposizione si è venuta  a creare a causa di indebiti incrementi delle poste passive del conto corrente del cliente da parte dello stesso Istituto di credito segnalante, il quale, nel corso del rapporto, ha applicato, per esempio, in violazione di norme imperative, interessi anatocistici o interessi usurari, con conseguente artificioso aumento dell’importo per il quale è stata effettuata la segnalazione.

Appare opportuno evidenziare come, le Istruzioni dettate dalla Banca d’Italia impongono precise condizioni affinché gli Istituti di credito operino correttamente, prendendo in esame le seguenti ipotesi:

1) esposizioni scadute da almeno novanta giorni;

2) debiti ristrutturati, nel caso in cui la Banca acconsenta a rinegoziare le originarie condizioni contrattuali;

3) le esposizioni debitorie c.d. “ incagliate”, ovvero quelle situazioni di temporanea effettiva ed obbiettiva difficoltà di pagamento, che si ritiene possa essere rimossa in un breve lasso temporale, commisurato all’importo oggetto di restituzione;

4) le esposizioni debitorie che, essendo oggetto di contestazione specifica, possono essere segnalate esclusivamente quali “incagli”, venendo così la segnalazione eliminata in caso di ragione del correntista, ovvero mutare il proprio titolo in “sofferenza”, in caso contrario;

5) esistenza di una vera e propria sofferenza.

E’ opportuno chiarire che, secondo le summenzionate istruzioni dettate dalla Banca d’Italia, nonché in forza della giurisprudenza unanime in materia, la situazione che legittima la segnalazione sussiste solo nell’ultima ipotesi, ma è evidente che per chi non è del settore non è cosi agevole comprendere le sfumature delle differenti fattispecie.

Mentre, infatti, le prime due non comportano particolari problemi di valutazione, o perché ci si trova in situazioni di lievissima incidenza economica, o perché è la Banca medesima che mette il debitore nelle condizioni di rientrare dall’esposizione, le altre tre presentano dei casi limiti analizzati dalla Giurisprudenza .

Quanto all’incaglio, deve, senz’altro, considerarsi errata e, dunque, da revocare e fonte di obbligazione risarcitoria, la segnalazione fondata su una situazione di “temporaneo disagio economico”, laddove il cliente abbia offerto alla Banca di estinguere il proprio debito, mediante il pagamento dilazionato in più rate proporzionate all’entità del debito (v. Tribunale di Cagliari, Ord. 25.10.2000).

Quanto, invece, ai crediti in sofferenza, va ricondotta in tale categoria l’intera esposizione per cassa vantata dagli Istituti nei confronti di soggetti in evidente stato di insolvenza, o in situazioni sostanzialmente analoghe, indipendentemente dalle eventuali previsioni bilancistiche relative alla perdita d’esercizio formulate dall’azienda.

Il testo predisposto dalla Banca d’Italia specifica che, ai fini della segnalazione, si dovrebbe prescindere dall’esistenza di eventuali garanzie, reali o personali, poste a tutela dei crediti, ma precisa anche come la dichiarazione a sofferenza deve essere preceduta da un’attenta analisi della complessiva situazione patrimoniale e finanziaria del cliente, non potendo ritenersi sufficiente un mero ritardo nei pagamenti, né, tantomeno, la semplice richiesta di rientro può essere considerata condizione sufficiente per segnalare a sofferenza la posizione.

E’opportuno precisare subito che le regole suddette non possono considerarsi esaurienti e sufficienti a  sciogliere tutti i dubbi interpretativi ed applicativi esistenti in materia, lasciando ampio margine alla giurisprudenza, chiamata, sempre più spesso, a colmare le lacune normative e/o interpretative delle istruzioni fornite dalla Banca d’Italia,  frenando così le strumentalizzazioni da parte degli Istituti di credito.

La Corte di Cassazione ha chiarito come, ai fini della segnalazione del credito a sofferenza, per stato di insolvenza deve intendersi quella situazione di non transitoria difficoltà economica, senza essere necessaria l’incapienza vera e propria o la dichiarazione di insolvenza mediante apposita procedura concorsuale (v. Cass. n. 21428/2007).

La Suprema Corte con la sentenza n. 12626/2010, ha precisato, inoltre, che “deve intendersi escluso lo stato di insolvenza, ovvero la sussistenza di una situazione ad esso equiparabile, che legittima l’invio della segnalazione alla Centrale dei Rischi, qualora lo stesso sia stato dedotto da elementi non idonei a valutare compiutamente la capacità finanziaria dei soggetti ed enti di cui è stato dichiarato. Rilevato, infatti, che la dichiarazione di stato di insolvenza deve essere frutto di una valutazione negativa della situazione patrimoniale, valutazione oggettiva di grave e non transitoria difficoltà economica e incapacità finanziaria, non è legittimo far pervenire la relativa segnalazione fondando detta dichiarazione sull’apprezzamento generico dei bilanci societari, anche se in perdita da diversi anni, nonché sulla sussistenza di esposizioni della medesima società nei confronti di altri Istituti di credito”.

Nella medesima pronuncia, la Corte ha chiarito come “risultino, di contro, elementi idonei ad escludere siffatta valutazione, l’operatività sul mercato dell’impresa, il fatto che la stessa sia titolare di un patrimonio immobiliare ed attrezzature ben superiore al credito vantato dall’Istituto bancario segnalatore e l’assenza di procedure esecutive o elevazioni di protesti”.

In ultimo, la Cassazione indica anche quale siano gli obblighi degli Istituti di credito nel procedere all’istruttoria “indipendentemente da ogni ulteriore e approfondita indagine relativa alla capacità finanziaria  dei propri clienti in presunta sofferenza”- le banche dovrebbero, e qui il condizionale è d’obbligo- “compiere, ricorrendo al medesimo sistema informativo della Centrale, accertamenti relativi ad elementi sintomatici dello stato di insolvenza, quali la revoca degli affidamenti, l’emissione di decreti ingiuntivi, la sussistenza di azioni di recupero di crediti, pignoramenti, protesti, procedure esecutive in corso. L’omissione in ordine all’esecuzione di detto tipo di attività preliminare da parte dell’Istituto Bancario che, come detto, abbia fondato la propria segnalazione solo su una superficiale valutazione dei bilanci e dell’esposizione del cliente, connota il comportamento dello stesso come imprudente e tecnicamente imperito”.

Dunque, è chiaro, da quanto riportato, che la Corte, conscia della delicatezza ed dell’importanza dell’attività svolta dalle Banche, di raccolta ed erogazione del credito, ha appalesato come detto compito debba essere ispirato alle regole comportamentali di perizia, prudenza e diligenza, anche in sede di istruttoria che precede la dichiarazione di sofferenza e, dunque, la segnalazione del cliente, sussistendo per le Banche un vero e proprio obbligo di informare il cliente che sarà segnalato, mettendolo così, nella condizione di ripianare preventivamente il proprio debito.

Alla luce del citato orientamento giurisprudenziale, ove la Banca non avesse ottemperato a tutti gli obblighi impostigli, non solo dalle Istruzioni dettate dalla Banca di Italia, ma anche quelli espressamente indicati dalle Corti, sia di merito che di legittimità, la segnalazione dovrebbe senz’altro considerarsi illegittima, e, dunque, fonte di un obbligazione risarcitoria a carico dell’Istituto segnalante.

In presenza di un siffatto comportamento illecito -integrando lo stesso i presupposti sia del “fumus boni iuris”, che del “pericolum in mora” nel senso anzidetto-, il soggetto, la cui reputazione risulta mortificata dall’errata segnalazione, potrà legittimamente ricorrere alla tutela d’urgenza in sede giudiziaria.