Danno riflesso, l’altra faccia del danno non patrimoniale
Creato da LucaCampanella il 03/02/2014 15:15:15

Visto il momento storico nel quale, quasi quotidianamente, si leggono notizie di cronaca aventi ad oggetto fatti illeciti derivanti da errori medici, responsabilità delle Strutture Sanitarie e, ancor più, sinistri stradali, molto spesso mortali, si ritiene utile iniziare ad esaminare il problema della risarcibilità dei danni causati da detti fatti illeciti, dall’ottica dei Soggetti che, pur non essendone le vittime dirette, risultano comunque titolari di diritti propri da far valere nei confronti dei responsabili civili.

Infatti, tutta la giurisprudenza che negli ultimi anni si è preoccupata di chiarire gli aspetti del danno non patrimoniale da fatto illecito, ha avuto quale finalità principale quella di regolamentare la quantificazione del risarcimento dovuto al soggetto danneggiato in via diretta, trascurando, però, gli aspetti della vicenda relativamente ai prossimi congiunti, che vengono a subire dall’evento lesivo conseguenze pregiudizievoli alla propria esistenza, degne di tutela da parte dell’Ordinamento giudiziario.


Cos’è il danno riflesso

Si definiscono riflessi, quei danni a carattere non patrimoniale, conseguenza dell’evento dannoso e prodottisi nella sfera, non della vittima diretta del fatto illecito, ma dei  suoi prossimi congiunti.

A seguito dell’evoluzione giurisprudenziale in materia di danno non patrimoniale, la Corte di legittimità, e le Corti di merito, sono giunte alla conclusione che il fatto illecito ha natura plurioffensiva; Detta interpretazione del danno non patrimoniale, rispecchia i principi sanciti in materia di danno da fatto illecito, all’indomani delle famose sentenze c.d. di “San Martino”, quale tipologia unitaria nella quale il danno biologico, quello morale e quello esistenziale, costituiscono tante voci descrittive delle conseguenze scaturite dal medesimo fatto illecito.

Con tale precisazione, la Suprema Corte, da un lato, ha certamente voluto sconfessare ogni illegittima duplicazione delle pretese risarcitorie, garantendo, però, dall’altro, un integrale ristoro, che tenga conto di tutti i diritti effettivamente lesi.

In quest’ottica, il danno riflesso, prodottosi nella sfera giuridica dei prossimi congiunti è certamente risarcibile, essendo unico nel suo genere, non potendo costituire un cumulo improprio della domanda risarcitoria (Cass. Civ. n. 4253/2012).

Presupposti per la risarcibilità del danno non patrimoniale riflesso

La Giurisprudenza, recentemente si è aperta ad una applicazione non restrittiva dell’art. 1223 c.c., criterio utilizzato per valutare la risarcibilità del danno non patrimoniale, considerando ristorabili, non solo gli effetti lesivi, che costituiscono la conseguenza immediata e diretta del danno ma, anche, quelli che risultano la conseguenza normale di un determinato antecedente causale, secondo il celebre brocardo “id quod plerumque accidit”.

Se, da una parte, la Giurisprudenza ha abbandonato l‘interpretazione restrittiva del sopra menzionato articolo, aprendo ad una più ampia sfera di interessi risarcibili, dall’altro, ha precisato, in materia di danno riflesso, quali siano i requisiti indispensabili per ottenere il risarcimento, e nello specifico:

1.         L’esistenza di una relazione con la vittima diretta del fatto illecito, sia essa fondata su un vincolo familiare, riconosciuto come tale dalla legge [ndr. famiglia fondata sul matrimonio], ovvero su una situazioni di fatto qualificata, come, per esempio, la convivenza more uxorio;

2.         L’apprezzabilità della lesione in virtù dell’effettivo rapporto esistente con la vittima e l’incidenza concreta sullo svolgimento della relazione.  

Dunque, per la risarcibilità del danno c.d. “da rimbalzo”, la Giurisprudenza tende ad escludere ogni automatismo derivante dal mero rapporto parentale, nel chiaro intento di scoraggiare il proliferare di infondate pretese risarcitorie azionate in forza del mero lontano grado di parentela, senza che alcuna effettiva lesione si sia prodotta nella sfera giuridica del parente della vittima. 

Diritto iure proprio al risarcimento

In conclusione, la perdita o la grave lesione del rapporto parentale è, secondo l’orientamento maggioritario e più accreditato, fonte, iure proprio, del diritto al risarcimento del danno, in capo ai prossimi congiunti della vittima diretta del fatto illecito.

Ciò significa che chi, a seguito di un illecito altrui, come per esempio a seguito di un grave incidente stradale o dell’errore medico o della responsabilità della struttura sanitaria, ha subito la lesione, o, peggio, la perdita della propria relazione familiare, sia essa di coniugio, di convivenza more uxorio, ovvero genitoriale, è legittimato ad agire in giudizio per vedersi riconoscere il proprio diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, in termini di peggioramento della qualità della propria vita e di sofferenza morale transuente.

Quanto al criterio risarcitorio

In merito ai criteri da assumersi ai fini del risarcimento, è interessante osservare come la Giurisprudenza più recente abbia chiarito che, sebbene il danno morale e quello esistenziale costituiscano una lesione non patrimoniale, al pari del danno biologico, gli stessi non possono ritenersi ricompresi in detta ultima voce di danno, necessitando di una liquidazione a parte, con criterio equitativo, che prenda in considerazione tutti gli aspetti della vicenda.

Ciò significa che, per tale tipologie di danno, non può più  ritenersi corretta la liquidazione in misura pari ad una frazione dell’importo liquidato alla vittima diretta del fatto illecito, a titolo di danno biologico, poiché esso  non tiene conto, se non in base ad una adeguata personalizzazione,  la reale gravità e la relativa entità del danno effettivamente patito (v. Cass. Civ. n. 2228/2012).

Il criterio indicato dalla Suprema Corte di Cassazione, dunque, è quello della personalizzazione della lesione patita, che esclude ogni automatismo, per privilegiare l’integrarle ristoro del danno effettivamente subito da tutti i Soggetti lesi, dovendo tenere conto delle condizioni soggettive di ciascun danneggiato nonché le conseguenze pregiudizievoli, evidentemente ulteriori in base alle peculiarità del caso concreto (v. Cass. Civ. Sez. Lav. n. 9238/2011).

Nel caso di lesione, o, a maggior ragione, di perdita della relazione parentale, il Giudice dovrà, quindi, effettuare una valutazione equitativa complessiva, che tenga in considerazione la peculiare relazione che ciascun danneggiato aveva con la vittima, la situazione familiare, le abitudini di vita, e ogni altra circostanza rilevante ai fini di una corretta quantificazione dei danni che, si ribadisce, deve essere effettuata in base al principio del loro integrale ristoro, così come subiti da tutti i Soggetti coinvolti, direttamente o in via riflessa, dalla lesione medesima.

In conclusione, seppur il danno non patrimoniale conseguente al fatto illecito deve essere quantificato unitariamente, il Giudice, nella motivazione della sentenza deve dare dimostrazione di aver tenuto conto di tutti gli aspetti del danno, così come prodottosi, e con le peculiarità del caso concreto e, conseguente personalizzando le voci previste nelle tabelle utilizzate dai diversi Tribunali.

E’ solo il caso di accennare che, per Giurisprudenza maggioritaria, soprattutto della Suprema Corte, le tabelle che rispecchiano più fedelmente i valori risarcitori da utilizzare per la quantificazione del danno biologico, sono quelle in vigore presso il Tribunale di Milano.