Prescrizione e decadenza -Differenze ed applicazione nel contratto d'appalto
Creato da LucaCampanella il 25/11/2013 15:50:00

Continuando il percorso intrapreso con il precedente articolo, è interessante osservare come la materia della prescrizione rivesta caratteristiche similari con quella della decadenza, anche se con conseguenze del tutto differenti.

In particolar modo, nell’ambito del contratto d’appalto, risulta evidente come tali istituti di diritto sostanziale, pur rappresentando entrambi valide eccezioni processuali in senso stretto per paralizzare le richieste di pagamento svolte dal committente, percorrono due binari paralleli tra loro che pur andando nella stessa direzione, differiscono nei rispettivi presupposti.


Decadenza, in cosa differisce dalla prescrizione

La decadenza, disciplinata agli art. 2964 e ss c.c. è istituto al cui fondamento sta, così come per la prescrizione, il trascorrere del tempo.

Mentre per la prescrizione il decorso del periodo di tempo prescritto dalla legge per l’esercizio del diritto viene interpretato come inerzia che giustifica la perdita del diritto medesimo, al contrario, nella decadenza viene stabilito, dal legislatore, nell’ambito della decadenza c.d. legale, o dai contraenti, nell’ambito della decadenza c.d. negoziale, un termine entro il quale svolgere una determinata attività, il cui spirare comporta la preclusione dell’esercizio di tale diritto.

L’ordinamento prevede che, ove un diritto soggiace alla disciplina della decadenza, non sono applicabili le discipline previste per la prescrizione né quanto alla sospensione né relativamente all’interruzione previste agli artt. 2941 e 2943 c.c., salvo che non sia espressamente previsto il contrario (per es. in caso di azione di disconoscimento ex art. 245 c.c.).

La decadenza, dunque, è impedita solo con l’esercizio del diritto mediante il compimento dell’attività prescritta dal contratto o dalla legge, e, nell’ipotesi si controverta in materia di diritti disponibili, la decadenza rimane impedita dal riconoscimento da parte del soggetto contro cui il diritto è fatto valere.

Laddove la decadenza sia impedita, il diritto rimane soggetto alla disciplina della prescrizione così come espressamente previsto all’art. 2967 c.c.

Come pocanzi rammentato, a differenza della prescrizione la cui previsione è sempre nell’interesse generale, la decadenza può avere natura legale ma anche convenzionale e, dunque, essere inserita nel regolamento contrattuale per volontà delle parti.

La decadenza legale, rappresenta un’eccezione del generale principio in forza del quale il titolare di un diritto è libero di esercitarlo o meno, senza limitazioni di sorta.

Da ciò ne discende che la disciplina della decadenza è insuscettibile di applicazione analogica.

Quanto alla decadenza convenzionale, l’art. 2964 c.c. sanziona con la nullità il patto con il quale vengano stabiliti termini decadenziali che rendano ad una delle parti troppo oneroso l’esercizio del proprio diritto.  

Quando, invece, la decadenza legale verte in materia di diritti indisponibili, le parti non ne possono modificare la disciplina, né rinunziarvi.

In ultimo, laddove il diritto soggetto a decadenza è sottratto alla disponibilità delle parti, vige il principio di cui all’art. 2969 c.c., in forza del quale il Giudice, eccezione alla regola generale, dovrà rilevare d’ufficio l’improponibilità dell’azione.

Prescrizione e decadenza nell’ambito del negozio di cui all’art. 1655 c.c.

Gli istituti della decadenza e della prescrizione vengono disciplinati nell’ambito del contratto d’appalto all’art. 1667 e ss c.c. nell’ambito della garanzia per i vizi e le difformità riscontrate nell’opera, il cui contenuto, consiste nella triplice opzione per il committente di richiedere 1) l’eliminazione dei vizi a spese dell’appaltatore; 2) la proporzionale riduzione del prezzo; 3) la risoluzione del contratto, e, in ogni caso, il risarcimento del danno.

Si precisa che la risoluzione del contratto è contemplata esclusivamente nel caso in cui i vizi o le difformità siano di entità tale da rendere l’opera del tutto inidonea all’uso cui era destinata.

La suddetta garanzia, è subordinata al duplice criterio di decadenza e prescrizione, previsto all’art. 1667, secondo comma c.c., in forza del quale il committente può esercitare alternativamente i rimedi suddetti, purché denunzi all’appaltatore la sussistenza delle anomalie riscontrate nell’opera nel termine decadenziale di sessanta giorni dalla scoperta delle medesime.

Solo se il committente soddisfi detto onere di denunzia nel termine perentorio prescritto dalla legge, potrà esercitare l’azione per far valere la garanzia che, a sua volta, dovrà essere promossa entro e non oltre due anni dalla consegna dell’opera, pena, in caso contrario, la decadenza dal diritto di promuovere la relativa azione di garanzia.

La denunzia da parte del committente, al contrario, non è necessaria, laddove l’appaltatore riconosca i vizi e le difformità o se li ha occultati.

A questo proposito, appare utile, ai nostri fini, segnalare come la Cassazione abbia chiarito che il riconoscimento in parola deve consistere in una vera e propria ammissione di responsabilità da parte dell’appaltatore in merito all’esistenza di anomalie nell’opera eseguita, con la conseguente assunzione di un concreto impegno ad eliminarli, mediante la proposizione dei rimedi necessari ed idonei ad escludere definitivamente i vizi medesimi (Cass. Civ. n. 6670/2009).

La Suprema Corte ha precisato, inoltre, come la suddetta dichiarazione produca un duplice effetto: in primo luogo l’effetto legale interruttivo, a seguito del riconoscimento da parte del soggetto nei cui confronti il diritto può essere fatto valere, previsto all’art. 2944 c.c. e, in secondo luogo, l’effetto novativo dell’obbligazione di garanzia alle condizioni suggerite e non ancora eseguite.

La natura novativa suddetta incide, altresì, sulla natura della prescrizione operante in tale particolare ipotesi, non più biennale, come nella previsione dell’art. 1667 secondo comma c.c., bensì ordinaria decennale, in forza della natura contrattuale della novazione oggettiva.

Si può parlare, però, di nuovo accordo e, dunque, di effetto novativo, solo allorché l’impegno unilaterale dell’appaltatore a eliminare i vizi, sia seguito dall’accettazione, espressa o tacita, da parte dell’altro contraente.

La tutela di cui all’art. 1667, secondo comma c.c. soggiace, dunque, ad un duplice onere “temporale”, il primo di natura decadenziale, la cui violazione, come noto, comporta la perdita della possibilità di esercitare un diritto, sia esso potestativo o soggettivo, ed un secondo di natura prescrizionale che, a fronte dell’inerzia del titolare del diritto, comporta la perdita del diritto medesimo.

E’ evidente l’esigenza di certezza che il legislatore ha cercato di soddisfare con tale disposizione.

Nel caso specifico, l’art. 1667 ultimo co. c.c., prevede che il committente convenuto per il pagamento dell’opera eseguita possa, comunque, eccepire l’esistenza dei vizi e delle anomalie, purché, ne abbia denunciato l’esistenza entro e non oltre lo spirare del termine decadenziale e prima che sia decorso il termine biennale di prescrizione dell’azione di garanzia.

Il raffronto con la previsione contenuta all’art. 1460 c.c.  relativa all’eccezione di inadimplenti non est adimplendum, collocata nella parte del codice civile dedicata all’inadempimento in generale, costituisce un passaggio obbligato, visto il tenore letterale dell’art. 1667 c.c.

Come si inserisce il 1460 c.c. nella materia dell’appalto

E’ evidente l’esplicito richiamo alla disciplina contenuta nell’art. 1460 c.c. operato dall’ultimo comma dell’art. 1667 c.c. in materia di appalto, il quale, unitamente agli artt. 1668 e 1669 c.c., costituisce, infatti, integrazione dei principi generali vigenti in tema di inadempimento delle obbligazioni, i quali operano in assenza dei presupposti dell’azione di garanzia per i vizi.

Si rende necessario, per chiarezza espositiva, aprire una breve parentesi relativa alla disciplina contenuta all’art. 1460 c.c.

La norma in commento contempla l’espressa possibilità legittimamente di non adempiere alla propria obbligazione, nei contratti a prestazione corrispettive, laddove l’altro contraente non abbia adempiuto alla propria, e, nel caso le prestazioni debbano essere eseguite contemporaneamente, ove l’altro soggetto non adempia o non si offra di adempiere simultaneamente.

L’eccezione di inadempimento può essere esercitata anche in caso di inesatto adempimento.

L’ordinamento, dunque, con detta previsione contempla eccezionalmente una  forma di vera e propria autotutela, che trova l’importante limite nella buona fede, nel senso che non è ammesso il rifiuto ad adempiere nel caso di inadempimento di lieve entità.

In forza dell’espresso richiamo del principio inadimplenti non est adimplendum, anche nel contratto d’appalto il committente che venga convenuto per il pagamento, al fine di paralizzare la domanda avversaria potrà sempre eccepire l’esistenza dei vizi dell’opera, anche quando non abbia formulato in via riconvenzionale alcuna domanda di garanzia, ovvero quando sia ormai decaduto dall’azione medesima.

Come anticipato, detto collegamento letterale rende possibile, a fronte della dimostrazione dell’esistenza di vizi e anomalie, paralizzare l’azione dell’appaltatore che abbia convenuto in giudizio il committente per ottenere il pagamento del prezzo pattuito per la realizzazione dell’opera.

Per non incorrere in malintesi, occorre chiarire come tale richiamo non precluda in alcun modo l’applicabilità, anche  nel caso del contratto d’appalto, dell’eccezione di cui all’art. 1460 c.c., in materia di inadempimento in generale, la cui operatività è limitata a quelle ipotesi in cui, pur non sussistendo i requisiti  richiesti per l’esercizio dell’azione di garanzia, risulti, comunque, ravvisabile una responsabilità per inadempimento o inesatto adempimento di uno dei contraenti (si pensi al caso dell’appaltatore che si rifiuti di consegnare l’opera commissionata o che, la consegni in ritardo).

In ultimo, per completezza di informazione, si evidenzia che la previsione di cui all’art. 1667 primo comma c.c., che contempla l’esenzione dalla garanzia laddove il committente abbia accettato l’opera, nonostante la generica formulazione operata dal legislatore, per costante orientamento giurisprudenziale, deve intendersi operativa solo in presenza di un atto negoziale con il quale il committente dichiari espressamente il proprio gradimento dell’opera.

In tale ipotesi, l’ordinamento prevede effetti determinati, quali l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per vizi e difformità dell’opera e il conseguente diritto del medesimo ad ottenere il pagamento del prezzo (v. Cass. Civ. n. 15711/2013).

Dunque, mentre la consegna del bene costituisce un’attività meramente materiale alla quale è parificabile l’immissione nel possesso, perché l’opera possa dirsi accettata ad ogni effetto di legge occorre la manifestazione da parte del committente del proprio gradimento, che può essere espresso per fatti concludenti, ovvero mediante sottoscrizione del verbale di collaudo dell’opera, che viene  intesa quale “accettazione senza riserve” della medesima.