Buona fede contrattuale e abuso del diritto
Creato da LucaCampanella il 29/05/2013 11:51:03

Dopo un periodo di silenzio, si torna a pubblicare una serie di considerazioni in merito all'obbligo di buona fede contrattuale, nell'ottica dell'abuso del diritto perpetrato soprattutto dagli Istituti Bancari, a causa della loro posizione dominante nei rapporti con i clienti-correntisti.

Non è necessario dilungarsi particolarmente per disquisire in merito alla citata posizione di forza esistente, dal momento che è a tutti chiara la situazione di crisi venutasi a creare anche per il diniego quotidfianamente esercitato dagli Istituti a concedere credito a privati ed aziende, nonostante la politica di favore attuata negli ultimi anni dal Governo e dalla Comunità Europea per il risanamento dei bilanci delle Banche, purtoppo non sfociati in una analogo risanamento dell'economia. 


1.   Che cos’è la buona fede contrattuale:

E’ la figura giuridica che trae origine dagli artt. 1175, 1337 e 1375 c.c., relativi all’obbligo per le parti di un rapporto, sia esso obbligatorio o contrattuale, di comportarsi secondo correttezza e buona fede, che oggi, grazie a numerosi interventi giurisprudenziali ha acquistato portata generale e rilevanza costituzionale, quale declinazione pratica del principio di solidarietà, enunciato all’art. 2 della Costituzione; La Giurisprudenza, ha chiarito come, la buona fede in senso oggettivo, debba considerarsi alla stregua di un vero e proprio obbligo contrattuale per i contraenti, i quali devono comportarsi in maniera corretta in tutte le fasi del rapporto, dalle trattative, alla stipulazione ed, infine, anche nell’esecuzione del contratto, al fine di non nuocere agli interessi dell’altro Soggetto.

Non è, dunque, inusuale imbattersi in pronunce del seguente tenore: “In tema di esecuzione del contratto, la buona fede si atteggia come impegno di cooperazione od obbligo di solidarietà, imponendo a ciascun contraente di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali o dal dovere extracontrattuale del principio del neminem laedere, sono idonei a preservare gli interessi della controparte, senza peraltro che ciò possa rappresentare un apprezzabile sacrificio per chi li pone in essere: in sostanza, il principio sancito dall'art. 1375 c.c. ha la portata di ampliare, ovvero di restringere, gli obblighi letteralmente assunti con il contratto, nei casi e nella misura in cui farli valere nel loro tenore letterale contrasterebbe con detto principio, senza peraltro che possa essere impedito di avvalersi di tutti gli strumenti apprestati dall'ordinamento per porre rimedio all'inadempimento di controparte ed al pregiudizio che ne deriva. L'obbligo di buona fede nell'esecuzione del contratto non ha allora un contenuto prestabilito, e quindi anche la mera inerzia può costituirne inadempimento, poiché l'osservanza del dovere di correttezza si pone nel sistema come limite interno di ogni situazione giuridica contrattuale soggettiva, per evitare che l'ossequio alla legalità formale si traduca in un sacrificio della giustizia sostanziale che scade nell'abuso del diritto” (v. Tribunale Reggio Emilia 21.02.2013).

E’ chiaro che, contraltare del principio sopra enunciato, è rappresentato dall’abuso del diritto perpetrato dal soggetto che nel rapporto ricopre una posizione dominante rispetto all’altro soggetto.

Esempio pratico di posizione dominante, è quello assunto dagli Istituti di credito nei rapporti con i correntisti; si pensi anche solo all’evidente asimmetria informativa che caratterizza detti rapporti (v. in questo senso Trib. Santa Maria Capua Vetere 5.03.2013) nei quali accade, non di rado, che la Banca, esercitando un diritto di cui è indiscutibilmente titolare, ne abusi, con riguardo alle modalità di esercizio dello stesso.

La Corte di legittimità è granitica nell’affermare che anche l’esercizio di un diritto da parte del titolare può cagionare un danno, quando se ne abusa mediante le modalità di esercizio dello stesso; il suddetto esercizio illegittimo del diritto, integra la violazione del principio della buona fede contrattuale.

 

2.   Applicazione pratica di tali criteri nei rapporti tra correntisti e Istituti di Credito:

Le Corti di Merito, recependo l’orientamento enunciato dalla Corte di Cassazione, censurano sempre con maggior frequenza il comportamento delle Banche che, abusando del diritto loro attribuito, abbiano illegittimamente segnalato a sofferenza presso la Centrale dei Rischi della Banca di Italia, il correntista in realtà “in bonis”, ovvero anche quando la segnalazione sia avvenuta solo per importi errati.

Al fine di comprendere il tenore dell’orientamento sopra enunciato, occorre precisare che, se da un lato le Banche sono -qualora riscontrino una posizione in sofferenza- obbligate ad effettuare la segnalazione presso la Centrale dei Rischi, quale strumento informativo degli operatori del credito bancario, dall’altro, è anche vero che detto strumento dovrebbe avere l’unico fine di istituire una veritiera rete di informazione dalla quale attingere per la corretta regolamentazione del credito.

E’ chiara, quindi, l’importanza di tale mezzo informativo, se utilizzato correttamente, così come gli effetti gravemente lesivi per il soggetto o per le imprese segnalate a sofferenza, illegittimamente od erroneamente, le quali si vedono escluse dal sistema bancario, e, quindi, destinate, dopo una lenta agonia, alla perdita di occupazione e nell’ipotesi peggiore al fallimento.

Il Tribunale di Milano, in particolare, conscio dell’effetto gravemente lesivo che detta errata o illegittima segnalazione può assumere, che, si rammenta, avviene condotta in maniera unilaterale e all’esito di una valutazione senza contraddittorio con il cliente, sin dal 2001 ha ritenuto il comportamento delle Banche fonte di un obbligazione risarcitoria, non solo a titolo di responsabilità extracontrattuale, di cui all’art. 2043 c.c., ma anche a titolo di responsabilità contrattuale, integrando la violazione degli artt. 1175, 1334 e 1375 c.c.

Per condividere l’orientamento sopracitato, basti pensare che una azienda illegittimamente o erroneamente segnalata a sofferenza, viene automaticamente estromessa dal credito bancario, linfa vitale per la longevità della stessa, con evidente lesione anche del diritto alla libera iniziativa economica, tutelata dall’art. 41 cost.

Per tali ragioni la giurisprudenza ritiene che detto illegittimo comportamento comporti un danno “in re ipsa”, senza onere probatorio per il danneggiato in ordine alla sua esistenza, rimanendo gravato, unicamente, della relativa quantificazione.

Indispensabile per la tutela del diritto alla buona fede contrattuale è, quindi, la possibilità di dimostrare l’illegittimità e l’erroneità della segnalazione, molto spesso effettuata con troppa superficialità da parte degli istituti Bancari, i quali saranno costretti ad attuare una politica di maggior rigore, solo a seguito di provvedimenti giudiziari di condanna al risarcimento dei danni conseguenti all’abuso perpetrato del loro diritto.